La seconda grande epoca dei bronzi fusi a cera persa è senza dubbio il Rinascimento italiano. Si assiste, con i primi importanti monumenti fiorentini degli inizi del ‘400 ad una rinascita di tale tecnica in cui gli artisti si impratichiscono sempre di più fino a ridiventarne maestri, come Michelozzo. Ma rimane sempre una tecnica difficile, tanto che Il Cellini, nella sua autobiografia, narra in una specie di epopea l’eroicità della fusione del Perseo. Si scrivono dei trattati in cui le tecniche fusorie del bronzo si confondono con l’alchimia, come nel De la Pirotecnia di Biringuccio del 1550 e il De Re Metallica di Georgius Agricola del 1530 o si uniscono allo studio delle proporzioni scultoree, come nel De Sculptura di Pomponius Gauricus del 1504. Leonardo da Vinci progetta e disegna (Madrid Biblioteca Nacional) l’esecuzione di un enorme monumento equestre “Il Moro” alto più di sette metri da fondersi in bronzo, mai eseguito.
La terra usata per la copertura delle cere in cui poi viene gettato il bronzo è l’argilla che i fonditori trovano nelle proprie vicinanze. Col Giambologna l’argilla viene sostituita dal loto, un materiale più elastico e poroso contenete mattone macinato e elementi organici per renderlo più elastico, come paglia o scarti della lavorazione delle stoffe, materiale che ancora oggi usiamo nella nostra fonderia.
Su molte fusioni rinascimentali si possono ancora vedere le tracce dei problemi e degli errori in cui sono incorsi i fonditori, come, per esempio, su tre delle dieci formelle della Porta del Paradiso del Ghiberti, in cui si notano fori e mancanze e “buchi” di fusione tappati con successiva “rifusione” di toppe di bronzo.